LA FORNACE PENNA VA A PEZZI
Considerazioni su una prolungata inerzia collettiva
La Fornace Penna si sgretola, l’effetto implacabile del tempo e l’altrettanto implacabile assenza di interventi di protezione e recupero ne stanno segnando definitivamente il destino.
La fornace, costruita alla fine del primo decennio del secolo scorso, con una localizzazione degna del miglior colono greco alla ricerca di un sito per fondare una nuova città, rappresenta un bene monumentale e paesaggistico di grande pregio. Soprattutto per la possanza, pari a quella di un antico tempio, con la quale i ruderi sovrastano gli scogli di punta Pisciotto, al margine della lunga spiaggia di Sampieri.

La Fornace localmente viene indicata come lo “stabilimento bruciato del Pisciotto”; era una fabbrica di laterizi costruita tutta in pietra bianca locale che ne esaltava la struttura architettonica. Rimase attiva per circa quindici anni, esportava i suoi prodotti anche in altri paesi del Mediterraneo, Malta soprattutto, e arrivò ad avere più di cento operai. L’attività produttiva era prevalentemente estiva, con le prime piogge autunnali la produzione veniva interrotta per riprendere nel maggio successivo.
La fabbrica si riforniva delle materie prime (argilla ed acqua) da una cava limitrofa, quasi a ridosso della spiaggia di Sampieri di cui ora resta un suggestivo laghetto. Il territorio su cui insiste rientra in una fascia di massima di tutela (3) secondo il vigente Piano Paesaggistico Regionale, oltre che nel “martoriato” sito comunitario di protezione dell’habitat SIC/ZPS ITA 080008 “Punta Religione”.

Lo stato di degrado della pregevole costruzione è ormai avanzato, i crolli continui degli ultimi anni ne hanno modificato il profilo, l’integrità esteriore della struttura è ormai persa, la sua forte presenza scenica rimane nella memoria di pochi e nelle tante immagini del passato.
La politica si è interessata al problema solo di riflesso, pressata soprattutto dall’opinione pubblica che ama il monumento, avendolo conosciuto soprattutto a livello nazionale come la “mannara” della fiction televisiva dedicata al commissario Montalbano. La politica che avrebbe dovuto farsi carico di individuare in tempo gli strumenti per attuare un concreto progetto di tutela, recupero e salvaguardia ha fallito. Hanno fallito gli enti preposti alla sua tutela, la Regione Siciliana in primis che con la sua estrinsecazione periferica, la Soprintendenza ai beni archeologici e culturali, non è riuscita nella sua funzione istituzionale, l’ente Comune inerme nei confronti di questo bene presente nel suo territorio, le associazioni culturali locali che non hanno pensato di includere la fornace nelle numerose campagne promosse da associazioni nazionali -quali il FAI o il Touring club italiano- grazie alle quali molti monumenti sono stati salvati.

Troppe idee confuse si sono sentite nel recente passato su un possibile recupero del manufatto per una possibile fruizione turistica. Il monumento è bello così, nella scarna nudità acquisita a seguito dell’incendio che in una notte d’inverno del 1924 ha posto fine al primo e unico esempio di insediamento industriale del territorio. Troppo forti sono state le pastoie burocratiche che hanno procrastinato qualsiasi tentativo di intervento di salvaguardia. Ma troppo debole e poco convinta è stata l’azione di tutela intrapresa dalla politica locale, attenta sempre di più a non intaccare interessi economici parziali piuttosto che a fare scelte concrete finalizzate al mantenimento del monumento e ad impedirne il disfacimento naturale.
La fornace Penna, anche se giuridicamente è di proprietà di privati, rappresenta pur sempre un bene storico paesaggistico collettivo per il quale andavano applicati da subito tutti gli strumenti che la vigente normativa sui beni artistici e paesaggistici mette a disposizione.

1 comment
Condivido pienamente. Il “mulino bruciato”, come l’ho sempre sentito chiamare io, non solo è una nobile architettura e un perfetto complemento del paesaggio, ma è anche un monumento di storia locale. Sarebbe deprecabile non solo lasciarlo crollare ma anche trasformarlo in un’attrazione turistica di basso profilo.Questa seconda ipotesi però faciliterebbe -forse – la sua conservazione