Proviamo a calarci in un ambiente dove le formazioni geologiche raccontano storie antiche, dove le rocce conservano le impronte di abitanti che nel tempo le hanno plasmate. Qui, una vegetazione rigogliosa avvolge ogni angolo, una ricca tavolozza di cromie che sembra seguire il ritmo delle stagioni ci sovrasta. La fauna accompagna melodiosamente i nostri passi e nell’aria un mix inebriante di profumi provenienti dalla macchia mediterranea ci avvolge, stimolando ogni senso e trasportandoci in un’altra dimensione. Ecco di fronte a noi lo spettacolo della Cava d’Ispica, una delle cosiddette “Cave” Iblee che si stagliano nella cuspide sud orientale della Sicilia.
Si tratta di stretti canyon incisi nella roccia calcarea, risultato di lunghi fenomeni erosivi, che appaiono strettamente connessi alla presenza di acqua, oltre che a una storia geologica dai caratteri complessi. L’acqua, elemento primordiale e fonte di vita che per millenni ha sostenuto lo sviluppo dei popoli, ha modellato (e modella) la geomorfologia del territorio, la quale in molti casi ha garantito nel corso della storia la necessaria protezione a chi ha abitato questi luoghi.
Ad oggi queste aree, per i numerosi spunti di interesse sia dal punto di vista naturalistico che storico-archeologico, riservano scorci incantevoli e attrattivi tanto per la comunità locale quanto per i visitatori, sebbene siano forse ancora poco conosciute e valorizzate.
In questa prospettiva, la “Cava d’Ispica” è tra le incisioni rocciose più emblematiche per un viaggio nel tempo geologico e nella storia dell’Uomo.
Da un lato, la località offre difatti diversi insediamenti rupestri, da quelli preistorici in grotta a quelli trogloditici medievali, e necropoli, da quelle sicule con tombe a forno a quelle classiche, sino agli ipogei bizantini e alle catacombe cristiane (molti reperti sono conservati presso il museo Paolo Orsi di Siracusa).
Dall’altro, essendo di origine fluvio-carsica, è stata caratterizzata nei secoli dalla presenza di un corso d’acqua, oggi a carattere stagionale, contraddistinto con il nome di Pernamazzoni, nella parte settentrionale, e di Busaitone, in quella meridionale. Si ritiene che il toponimo Ispica derivi infatti dal greco “éis pegàs”, proprio ad omaggiare la presenza di numerose sorgenti. Elemento che spesso ha generato spesso culti e leggende l’acqua è stata, nel tempo, sfruttata nel corso del tempo lungo. Tuttavia, oggi, l’aumento dell’uso delle falde acquifere a monte ha causato una significativa diminuzione del loro livello, rendendo il canyon alla vista del visitatore contemporaneo pressoché asciutto.
E allora, carta alla mano, iniziamo il nostro percorso che si snoda, sinuoso, per circa 14 chilometri da nord-ovest verso sud-est e collega i territori di Modica, Ispica e in parte quello di Rosolini (Figura 1). Accedendo alla cava dal territorio modicano, è possibile visitare il Parco Archeologico di Cava d’Ispica, mentre, all’estremità sud e a chiusura dell’itinerario, troveremo il Parco Forza nel territorio ispicese.
Immergendoci nella cava dalla parte nord-ovest, ci si accorge subito di essere sovrastati dalla roccia calcarea color grigio/crema, talvolta massiva, talvolta stratificata, un motivo che si ripeterà lungo tutto il cammino. L’incisione ricade infatti all’interno di quella che da un punto di vista geologico viene definita una sequenza di natura carbonatica (una alternanza di rocce calcaree e marne, Figura 2) di età meso-cenozoica, peculiarità predominante del territorio ragusano.
A uno sguardo più attento, lungo le pareti emergono delle cavità talvolta di origine carsica ma anche e soprattutto di natura antropica (Figura 3). Del resto, le caratteristiche dell’intero ecosistema hanno favorito lo sviluppo di insediamenti che evidenziano una presenza costante dell’uomo nel tempo. Dall’antica età del bronzo all’età tardo-antica e bizantina, infatti, si sono avvicendate diverse popolazioni, le quali hanno scavato una vera e propria “città nella roccia”, abitata fino a qualche decennio fa e la cui esistenza è stata più volte riconosciuta e celebrata nei racconti di viaggio del Grand Tour.
I nostri passi ripercorrono di fatto le orme di quei viaggiatori moderni: da Jean-Pierre-Laurent Hoüel, che descrisse e illustrò la cava in “Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari” (1782-1787), a Dominique Vivant Denon, che ha lasciato memoria del suo passaggio in “Voyage en Sicile” (1788). Non a caso una una delle illustrazioni più celebri di Houel rappresenta uno dei primi monumenti che incontriamo lungo il cammino, ovvero quello che è conosciuto con il nome di “Castello Sicano”. (Figura 4) Questo, per la sua posizione arroccata, insieme all’adiacente necropoli di Calicantone (portata alla luce solo di recente grazie agli scavi condotti dall’Università di Catania), rappresentò per lungo tempo il fulcro della vita dell’area.
Addentrandoci nel percorso, la vegetazione incontaminata si fa sempre più densa e ricca di varietà tipiche della macchia mediterranea, quali il leccio, il carrubo, l’ulivo, il platano, e ci si ritrova immersi in profumi derivanti da diverse piante aromatiche, come la nepitella, la salvia, l’origano o ancora il rosmarino. Poco più avanti, tra gli anfratti, scorgiamo sulle pareti meridionali della cava, i ruderi di quello che è chiamato il Convento di Santa Alessandra (Figura 5), costituito da più piani e da diversi ambienti.
A questo punto Il sentiero ci conduce ad un luogo davvero singolare: un boschetto di lecci, ultimo baluardo di una flora autoctona sopravvissuta all’avanzata delle nuove specie che si sono fatte largo nella cava (Figura 6).
Nell’ultima parte del percorso, quasi giunti alla città di Ispica, risalendo attraverso una scala rocciosa la parete nord-orientale, raggiungiamo l’eremo di Sant’Ilarione (Figura 7a), un luogo mistico e meta di pellegrinaggio.
Giunti al termine del nostro percorso, ormai nel fondo valle, nei pressi di Santa Maria La Cava, ad interrompere quasi il nostro cammino si erge un masso di grandi dimensioni, conosciuto dalla gente del posto con il nome di “Pietra Grossa” (Figura 7b), quasi a ricordarci la precarietà di questi luoghi a causa dell’elevata sismicità dell’area. Com’è noto, il luogo che, da un punto di vista geologico-strutturale insiste lungo la faglia di Ispica, è stato soggetto a numerosi eventi sismici, tra cui il più importante, quello del 1693, ha causato non solo il crollo di molte pareti rocciose, con contestuale apertura delle cavità e formazione di nicchie di distacco, ma anche lo spopolamento dell’intera zona.
A fronte di una storia (umana e geologica) così intensa, tutta incisa nella roccia di quello che potrebbe senza dubbio essere riconosciuto come un geosito, sorprende e affascina la portata di tale spazio “vuoto”, che diventa in realtà un luogo di rinascita per una natura prepotente e seducente al tempo stesso.
Per la sua incontaminata bellezza, la Cava d’Ispica si rivela in fondo una testimonianza naturalistica, storico-archeologica e geologica di grande e incontestabile valore, in grado di consentire a noi, viaggiatori di oggi, di risalire il tempo, ovvero, ripercorrere i fenomeni geologici e gli eventi storici di questa parte del territorio ibleo.
Ancora una volta, un angolo unico della nostra meravigliosa Sicilia.
Nella foto di copertina: Veduta della Cava D’Ispica dal Castello sicano in direzione sud-est
Bibliografia
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- Jean Houel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Lipari et de Malta, (Imprimerie de Monsieur, Paris, 1782/872;
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- Grasso M., Lentini F., Carbone S. Carta Geologica della Sicilia Sud-Orientale, schema stratigrafico strutturale, Mem. Soc. Geol., 1987;
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- Di Stefano Giovanni, Cava Ispica. Breve guida archeologica, Utopia Edizioni, Ragusa, 1997;
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- Di Stefano Giovanni, Insediamenti e necropoli dell’Antico Bronzo dell’area iblea e Malta: contatti o influenze?, in Malta in the Hybleans, the Hybleans in Malta. / Malta negli Iblei, gli Iblei a Malta, a cura di Anthony Bonanno, Pietro Militello, Officina di studi Medievali, Palermo, 2008, pp. 49-54;
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- Sammito Anna Maria, Rizzone Vittorio, Cava Ispica, Regione Siciliana, 2011.