Con queste brevi note di sintesi mi permetto di suggerire qualche idea progettuale nel campo della valorizzazione del nostro poco conosciuto Patrimonio artistico, spesso perso nell’abbandono del latifondo agricolo della “Sicilia povera”. Potrebbe essere il quadro di riferimento per una strategia socio-culturale-politica nel merito degli
obiettivi, di buon senso e largamente condivisibili, sintetizzabili in:
1-Promozione di una economia integrale a partire dalle risorse di prossimità;
2-Contribuire all’apprendimento permanente e alla divulgazione della straordinaria
storia siciliana, in particolare pregreca;
3-Contribuire a realizzare opere ed itinerari culturali di valorizzazione e bellezza.
Dando per scontato l’interesse generale per l’ambito del punto 1, mi soffermo in questa
sede sul resto, che intende promuovere una più generale e specifica presa di coscienza della “Storia della Sicilia prima dell’inculturazione greco-siceliota”.
E’ l’orizzonte culturale che in un formidabile testo del 1958 Luigi Bernabò Brea definì appunto La Sicilia prima dei Greci; argomento ancora adesso di grande attualità, non pienamente recepito nei saperi diffusi e consolidati delle comunità locali, delle “aree interne” e della cosiddetta “Sicilia povera”, bisognosa di promozione della sana economia integrale e della ricostruzione di segni fisici di Bellezza nel Paesaggio Culturale spesso in abbandono che ne caratterizza purtroppo i territori.
Entriamo nel merito con qualche esemplificazione concreta.
E’ conoscenza condivisa che la prima vera grande “Civiltà” o “Cultura Europea” si diffonde nel Continente a partire da tre caratteri comuni, così riassumibili:
-il culto della “Grande Madre”, nei suoi multiformi aspetti;
-la ceramica del “Bicchiere Campaniforme”, con la sua misteriosa ritualità, associata sempre a particolari reperti e corredi funerari ;
-il “Megalitismo” architettonico, che caratterizza le forme degli impianti ed i luoghi di culto.
Tutti questi caratteri sono presenti nei comprensori delle antiche idrovie siciliane (in particolare del fiume Halykos-Platani), con la particolarità del nostro megalitismo, per quello che tristemente ne rimane, nei seguenti esempi: i dolmen di Mura Pregne (fig.1) con il suo muro ciclopico, presso Himera o quello di S. Giorgio (fig.2), presso Sciacca, con altri recentissimi rinvenimenti o i megaliti e le thòloi dell’area dei Nebrodi a Montalbano Elicona



Gli ambienti a thòlos presenti in Sicilia documentano una fase culturale protostorica di livello euromediterraneo, frutto plurisecolare di contatti transmarini con comunità Egeo-Micenee, principalmente per il commercio del sale e dello zolfo nell’età del Bronzo, lungo le vie di penetrazione fluviale per l’entroterra isolano, unitamente ad elaborazioni autoctone derivanti dagli ingrottati eneolitici e dal modello funerario della grotticella castellucciana. E’ una fase di civiltà quasi “invisibile”, suggestivamente celata com’è nel paesaggio rupestre siciliano, trattandosi in larga parte di strutture
architettoniche ipogeiche, costruite per sottrazione, dominanti luoghi di grande fascino e bellezza, nella Sicilia interna e profonda, dei silenzi e delle solitudini, lungo le antiche vie d’acqua probabilmente navigabili (l’Halykos/Platani-Fiume Torto-San Leonardo,
l’Himera Superiore e Inferiore/Salso, il Simeto-Dittaino, l’Anapo, la Valle dello Jato) che mettono in collegamento l’interno dell’antica Sikania con le coste del Tirreno, del Canale di Sicilia e del siracusano. Le thòloi ufficialmente censite sono qualche centinaio e sono quasi dappertutto. Moltissime sono di modeste dimensioni, ubicate in necropoli depredate in antico e ad evidente uso funerario; sono caratterizzate dalla particolare forma scavata ad ogiva, con “scodellino” incassato di sommità.
Alcune sono di dimensioni rilevanti, a doppia camera e situate in complessi rupestri monumentali di sofisticata progettazione e manifattura, probabilmente legate come sembrano essere oltre che al mondo funerario alla dimensione cultuale e templare, per la presenza di camere funerarie dinastiche con banchine e grandiose dimensioni dell’ambiente campaniforme, quasi sempre con la presenza di un “foro”/Oculus di luce in sommità, per esempio nei casi di Sperlinga o Sant’Angelo Muxaro, che non ha foratura all’apice, (fig.4 e 5), o in quello meno noto ma più grandioso della Gurfa di Alia (Immagine di copertina). E’ molto probabile che l’Oculus definisca uno spazio templare e liturgico a differenza della semplice sepoltura con “scodellino” apicale.



La foto di copertina ritrae un ambiente campaniforme tholoide con Oculus della Gurfa di Alia
