La Sicilia esprime una notevole e variegata presenza di specie erbacee diffuse in natura in grado di offrire preziosi contributi all’agrobiodiversità. Tra queste piante selvatiche siciliane assume una notevole importanza la Brassica macrocarpa Guss., pianta afferente al genere Brassica di cui diremo più avanti. Si tratta di una specie endemica (esclusiva di un determinato territorio) limitata a due piccole isole dell’arcipelago delle Egadi, Favignana e Marettimo, al largo della costa occidentale della Sicilia. La pianta con spesse foglie glabre e picciolate (foto 1), ad inizio primavera dopo una vistosa fioritura giallo intenso (foto 2), dà luogo alla formazione di una caratteristica siliqua larga a becco robusto e conico (foto 3). La specie cresce su rupi calcaree e pendii rocciosi da 0 a 300 m s.l.m. (foto 4), dove si insedia sotto l’influenza di correnti umide marine per essere successivamente raggiunta da spruzzi di acqua salmastra e/o piogge.
Lo stato di conservazione, la classifica in “pericolo critico” perché presente in un contesto ambientale altamente frammentato e limitato a due sottopopolazioni isolate. La qualità e l’estensione dell’habitat è peraltro in forte riduzione a causa di incendi, pascoli, rimboschimenti e altre attività antropiche quali quelle turistiche. Nello specifico, lo stato di conservazione di una specie è un indicatore della probabilità che quella specie continui a sopravvivere. Diversi sono gli elementi considerati ai fini della valutazione dello stato di conservazione di una specie, tra questi oltre al numero degli esemplari, vengono monitorate le percentuali in aumento o diminuzione nel tempo della popolazione, il successo della riproduzione in cattività, le minacce conosciute e così via. L’elenco degli stati di conservazione più noto al mondo è la “Lista Rossa” dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), sebbene esistano anche altre liste. Lo IUCN è responsabile, fra le altre cose, dell’aggiornamento e della pubblicazione di questa Lista rossa IUCN, ossia dell’elenco delle specie animali e vegetali del pianeta e della loro attribuzione a specifiche categorie di minaccia, nonché del sistema di classificazione internazionale delle aree protette. Entrambi questi sistemi di classificazione sono ormai da ritenersi strumenti indispensabili per l’identificazione di strategie e di azioni di politica ambientale sia a livello nazionale che internazionale.
La Sicilia rappresenta uno dei principali centri di origine e diversificazione di specie selvatiche afferenti al genere Brassica. Quest’ultimo, comprende diversi prodotti che fanno parte della nostra cucina e che volgarmente definiamo “cavoli”, ma che racchiude in realtà ortaggi diversi quali cavolfiori, broccoli, cavoli cappuccio, cavoli rapa, cavoletti di Bruxelles, rucola ecc.
I taxa selvatici siciliani possono “ibridarsi” (ovvero incrociarsi con specie differenti) con forme coltivate per cui rappresentano una risorsa genetica utile per il miglioramento delle varietà oggi in uso. Infatti, i “parenti selvatici” delle brassiche sono stati spesso utilizzati per trasferire alle nuove varietà commerciali la loro resistenza/tolleranza agli stress biotici (patologie causate da batteri, virus e piccoli insetti) e abiotici (provocate da condizioni ambientali avverse) o per ottenere nuove cultivar con alti livelli di glucosinolati ovvero metaboliti secondari prodotti dalle piante, alcuni dei quali con effetti positivi sulla salute umana per il contrasto ad alcune forme tumorali.
Tutelare l’esistenza dei “parenti selvatici” in altre parole significa avere un serbatoio di “inconsapevoli donatori di geni utili” cui attingere per migliorare la risposta agronomica ai fattori ambientali di alcune specie che coltiviamo e che sono sempre più minacciate anche dai cambiamenti climatici quali ad esempio la siccità o la salinizzazione dei suoli. Si tratta di incroci che avvengono normalmente ed in modo “naturale” da sempre, ma che nell’ambito della ricerca in agricoltura si possono fare in maniera mirata, selezionando le piante che presentano determinati tratti qualitativi ed incrociandole per fissarne i caratteri utili al miglioramento delle performance agronomiche.
Segnatamente alla specie in questione, nel quadro di attività di ricerca condotte per gli obiettivi di cui sopra, la B. macrocarpa tra le brassiche selezionate per il miglioramento genetico si è contraddistinta anche per una peculiarità che la rende meritevole di attenzione. Essa, infatti, si caratterizza per la sintesi quasi esclusiva tra i suoi glucosinolati della “sinigrina”. Si tratta di un particolare prodotto del metabolismo secondario della pianta in grado non di avere effetti nutraceutici o salutistici utili all’uomo al pari di altri glucosinolati noti per il contrasto ad alcune forme tumorali, ma di contenere in maniera efficace i nematodi del terreno (Meloydogine spp.). Questi sono parassiti delle radici delle piante coltivate causa di notevoli perdite di produzione e quindi economiche (foto 5). Molte piante ortive (pomodoro, melanzana ecc) soffrono di questi attacchi soprattutto in serra (foto 6) nei mesi primaverili ed estivi e per il cui contenimento in passato si è fatto ampio ricorso a prodotti chimici.
Recenti attività di ricerca, hanno evidenziato che farine ottenute dall’essicamento delle foglie di questa pianta (preventivamente titolate per il contenuto in sinigrina) ed interrate durante il ciclo di coltivazione, tecnica nota come “biofumigazione” (foto 7), insieme ad altre tecniche agronomiche (innesto erbaceo, solarizzazione ecc.) possono contrastare in maniera green alcuni parassiti terricoli e contribuire ad una coltivazione a basso input. Più in generale, occorre segnalare che la vitalità microbiologica del terreno ottenuta attraverso il ripristino di una buona fertilità organica insieme al mantenimento delle popolazioni microrganiche indigene del suolo, può agire da controllo naturale per il contenimento delle popolazioni di fitoparassiti. Seppur nelle notevoli difficoltà operative per il mantenimento di un buon equilibrio microbiologico del terreno, la riduzione del ricorso alle molecole di sintesi per l’ottenimento di prodotti in agricoltura, è un obiettivo sempre più perseguito dai protocolli di coltivazione per l’offerta di ortofrutta destinata ad un consumatore sempre più esigente.
In tale prospettiva, la tutela e la valorizzazione di questa specie permetterebbe di ottenere benefici per la collettività sotto l’aspetto naturalistico (conservazione della specie), ambientale (minore impiego di formulati chimici in agricoltura) e della sicurezza alimentare (offerta di prodotti senza residui chimici). In estrema sintesi l’espressione dei temi centrali delle attuali politiche agricole che spesso vengono racchiusi nella definizione di “sostenibilità ambientale”.