La Sicilia presenta una varietà paesaggistica che, probabilmente, ha pochi eguali al mondo. Essa è figlia della particolare geologia della regione mediterranea, contraddistinta in linea generale dalla collisione tra due placche tettoniche, l’euroasiatica e l’africana, con conseguenti complessi rapporti tra tettonica, sedimentazione e vulcanismo. Ritroviamo nell’isola rocce antichissime sottoposte a processi metamorfici, rocce generatesi su fondali marini oggi scomparsi e che si trovano in cima a delle catene montuose, e anche ambienti vulcanici di cui l’Etna è certamente il nostro migliore ambasciatore. C’è poi il caso di una zona montuosa non troppo elevata, il cui culmine non raggiunge i 1000 metri d’altezza sul livello del mare, che occupa la parte sud-orientale dell’isola e costituisce un ampio tavolato digradante più o meno dolcemente verso il mare: i Monti Iblei. Dal punto di vista geologico si tratta di una porzione poco deformata del margine settentrionale della placca africana, costituita in larga parte da bianche rocce carbonatiche derivate dalla sedimentazione in ambiente marino ma anche, nella parte più settentrionale, da rocce vulcaniche messe in posto ben prima che l’Etna nascesse.
L’uomo ha sfruttato sin dall’antichità la presenza d’acqua nella zona dando vita a numerosi insediamenti, la cui traccia si è in larga parte persa, eccezion fatta per le necropoli che caratterizzano il paesaggio di molte cave (nome locale che designa le valli iblee scoscese e profonde). La facilità con cui si poteva cavare il materiale dava la possibilità di poter realizzare complessi tombali spesso in luoghi scoscesi e difficilmente raggiungibili, come il caso del sito Patrimonio dell’Umanità di Pantalica. Ma ci sono angoli sugli Iblei che sono poco noti anche alle persone che vi abitano e che meriterebbero più attenzione. E’ il caso di Cuppodia, nome di alcune alture la cui altitudine massima è di 543 metri sul livello del mare, ma anche di una località dalla profonda valenza storica.

L’itinerario qui proposto, lungo 11 km circa (Fig. 1), è caratterizzato da prevalente vegetazione erbacea ed arbustiva, pertanto se ne sconsiglia la percorrenza in piena estate. Esso è altresì godibile in tutti gli altri periodi dell’anno.
Il percorso parte dalla Strada Provinciale 9 Carlentini-Sortino, in corrispondenza di una strada sterrata che si dirama poco più di 1 km a sud del borgo di epoca fascista denominato Angelo Rizza. Seguendo la traccia creata per consentire l’accesso alle turbine eoliche, installate circa un ventennio fa e che occupano buona parte dei maggiori rilievi della zona, si risale oltrepassando Monte Carrubba (525 m s.l.m.) fino ad arrivare sul bordo di una scarpata. Da qui si scorge un bel panorama della valle sottostante posta alla sinistra, solcata dalla Fiumara Grande. Un aspetto geologico interessante è che, in realtà, ci si ritrova sulla sommità di una scarpata creata da una faglia ad andamento sub-verticale. Sappiamo che una faglia è una frattura entro un volume di roccia con movimento relativo dei blocchi da essa separati. In questo caso il blocco sollevato è quello dal quale possiamo affacciarci (Fig.2). Questa faglia fa parte di un più ampio sistema di dislocazioni ad andamento NE-SO che si è sviluppato in quest’area nel Pliocene superiore-Pleistocene inferiore (grosso modo tra 4 e 2 milioni di anni fa).


Le rocce di colore bianco che costituiscono i maggiori rilievi di questa zona sono le medesime che caratterizzano il paesaggio di gran parte della valle dell’Anapo fino ad arrivare a Siracusa, ovvero dei sedimenti di composizione calcarea (calcareniti e calciruditi organogene) depostisi in un ambiente di mare poco profondo in epoca miocenica. Durante il Miocene superiore, e più precisamente nel Tortoniano (compreso 11,6 e 7,2 milioni di anni fa), risalite di magma sconvolsero il basso fondale marino occupato dalle piattaforme carbonatiche, dando vita a delle manifestazioni eruttive di tipo esplosivo, con messa in posto di vulcanoclastiti (rocce incoerenti di genesi vulcanica) mescolate ad una frazione carbonatica di origine sedimentaria strappata al substrato. Lungo il nostro itinerario è possibile osservare le testimonianze di tali antiche eruzioni (Fig. 3).
Proseguendo il cammino, dopo aver percorso il margine di una gola, si arriva sulla cresta dei Monti Cuppodia (Fig. 4), dalla cui sommità si possono ammirare, col favore del bel tempo, l’Etna e le alture della Sicilia centro-orientale.

Qui è anche possibile osservare degli esempi di carsismo superficiale, tra cui i campi solcati o carreggiati (Fig. 5). Si tratta di superfici rocciose lavorate dal ruscellamento e dall’azione corrosiva dell’acqua piovana, che portano alla dissoluzione del carbonato di calcio che le costituisce secondo delle linee che risultano parallele tra loro per l’uniformità della pendenza del versante.

Un percorso in discesa con discreta pendenza e senza sentiero, in alternativa a un più lungo tracciato su strada sterrata, ci conduce all’interno di una stretta cava, dove si apre alla vista qualcosa di inaspettato. Dei ruderi, su più livelli, di edifici appartenenti ad un antico monastero, costituiti da murature della stessa natura della roccia circostante e integrati così perfettamente nel paesaggio da sembrare farne parte (Fig. 6). Quella che è interpretabile come l’attigua chiesa, collegata con una scala in parte scolpita nella roccia, conserva all’interno i resti di una decorazione, in corrispondenza di quella che doveva essere l’abside. La copertura è andata perduta, eccezion fatta per un sottile arco centrale che continua a sfidare il tempo (Fig. 7).


Interessante e non casuale è anche il toponimo utilizzato negli anni Sessanta dall’Istituto Geografico Militare nell’elaborazione della carta topografica locale e caratterizzante l’area immediatamente a nord della cava, là dove sorge un piccolo altopiano denominato Piana dei Monaci.
Scarse notizie si hanno di questo luogo di culto, così come mancano ricerche archeologiche che permettano di descrivere la funzione di diversi ampi cameroni, oggi adibiti ad occasionale ricovero di animali da pascolo, che si aprono nella roccia calcarea (Fig. 8).

Il luogo offriva un sicuro isolamento per la comunità dei monaci, ma la località è stata abitata sin dai tempi antichi grazie anche alla presenza dell’acqua che scorreva nell’impluvio, oggi pressoché asciutto e a regime torrentizio, e per l’esistenza poco più a nord di una sorgente. A conferma di ciò si ritrovano disseminate lungo i costoni della valle delle tombe ad arcosolio, attribuibili all’epoca bizantina sull’esempio di altre simili che si ritrovano altrove negli Iblei (Fig. 9), nonché tombe a grotticella di età preistorica. Dalle poche notizie in nostro possesso si è appreso che il feudo di Cuppodia fu acquistato nel secolo scorso dal barone Giuseppe Luigi Beneventano della Corte, personaggio molto importante della vicina Lentini, divenuto nel 1908 Senatore del Regno d’Italia. Tale acquisto, su cui gravavano diverse ipoteche, contribuì al successivo declino economico della famiglia.
Si spera che in un futuro non troppo lontano questa zona possa destare l’attenzione degli esperti affinché sia eseguito un dettagliato studio archeologico, al fine di recuperare e magari rendere fruibile a tutti ciò che resta di questo luogo ameno, prima che il tempo possa rendere illeggibili gran parte dei resti qui descritti. Ma il luogo mostra anche una forte valenza di stampo naturalistico-paesaggistico, e sono sempre le rocce a darci la possibilità di fare altre interessanti osservazioni.


Prestando maggiore attenzione, si può notare come in questo luogo le rocce sedimentarie siano composte quasi esclusivamente da fossili di organismi muniti di conchiglia o di struttura scheletrica rigida, e per tal motivo definite comunemente lumachelle. Nello specifico esse fanno parte di un orizzonte stratigrafico relativo al Tortoniano (Miocene superiore) (Fig. 10).
Il percorso si snoda poi tra campi coltivati a grano e pascoli, tra casolari di campagna e masserie. Prima di chiudere l’anello eccoci attraversare antichi campi lavici di epoca più tarda rispetto a quelli precedentemente descritti. Al limite tra Pliocene e Pleistocene delle eruzioni, inizialmente submarine e poi più estesamente subaeree, interessarono nuovamente la parte settentrionale degli Iblei, dando origine a un’ampia copertura lavica alimentata da fratture orientate NE-SO. In particolare, lungo il nostro tragitto, si possono osservare dei basalti di colore grigio risalenti a circa 2 milioni di anni fa e caratterizzati da una morfologia tabulare di tipo pahoehoe e fessurazione colonnare (Fig. 11). La lava pahoehoe (in lingua hawaiana: ci si può camminare sopra a piedi nudi) è una lava molto fluida che, raffreddandosi, produce in superficie una pellicola che viene modellata e trascinata dalla porzione sottostante più calda, assumendo una forma liscia ma più spesso ondulata e cordonata.

Il percorso finisce là dove era iniziato, e concludo dicendo che anche una semplice camminata in campagna, in un territorio poco noto, può offrire al visitatore diversi spunti, sia dal punto di vista geologico-naturalistico che storico-culturale.
In copertina uno scorcio del sito di Cuppodia
BIBLIOGRAFIA
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M. GRASSO, F. LENTINI, S. CARBONE – CARTA GEOLOGICA DEL SETTORE NORD-ORIENTALE IBLEO (SICILIA S.E.) 1987 – Scala 1:50000
LENTINI F., CARBONE S. – GEOLOGIA DELLA SICILIA – II – IL DOMINIO D’AVAMPAESE – 1995