L’Ipogeo di Calaforno (Monterosso Almo), una perla nel cuore degli Iblei
Le comunità eneolitiche iblee avevano certamente uno spazio di notevole valenza identitaria nell’areale a
sud-ovest della moderna Giarratana nella quale è il noto ipogeo di Calaforno, ubicato all’interno del Parco
Naturalistico Forestale di Calaforno (Monterosso Almo), in contrada Manna, sulla sponda sinistra del
torrente San Giorgio.
Fu rinvenuto a metà degli anni ‘70 da un gruppo di giovani ragusani appassionati di archeologia tra cui il
noto archeologo Lorenzo Guzzardi ed è costituito da un insieme pluricellulare di 32 camerette di pianta
circolare o subcircolare, artificialmente scavate nel calcare di una pendice collinare, poste in sequenza tra
loro, cui si accedeva da un vasto camerone di forma approssimativamente ellittica. Ogni cameretta di 1,5-3m
di diametro e di poco più di 1,5/1,7m di altezza, era collegata alla successiva attraverso una apertura di forma
regolare, chiusa forse da un portello, così come suggerirebbe il rinvenimento di alcuni blocchi, altrettanto
regolari, al centro di alcuni ambienti.

Grazie alla disponibilità ed alla continua collaborazione degli uffici ragusani dell’Assessorato all’Agricoltura
della Regione Siciliana proprietario del bosco di Calaforno, la Soprintendenza ai Beni Culturali di Ragusa, in
una prima fase, ha potuto riprendere lo studio e le ricerche sull’ipogeo preistorico col coinvolgimento
dell’Università di Catania e dell’équipe guidata dall’archeologo sciclitano Pietro Militello, ordinario di
Civiltà Egee in quell’Ateneo che ne ha riveduto e corretto la pianta originariamente elaborata dal Guzzardi,
in virtù anche di alcune azioni di scavo condotte negli ambienti interni.
In particolare si è potuto stabilire che il primo utilizzo del recesso, come sepolcreto, risale alla tarda età del
rame (4000-3000 a.C.), allorquando le alture al suo intorno, durante la facies di Malpasso, sarebbero state
occupate da uno o più villaggi come testimonierebbero i resti ceramici trovati in questi anni nel bosco
circostante. Lo si continuò ad utilizzare sia per la sepoltura, sia per scopi cultuali durante tutta l’età del
Bronzo e nel corso della successiva età del Ferro e in età tardoantica e medievale (IX secolo d.C.), dopo un
lungo periodo di abbandono, lo si utilizzò come spazio funerario prima e, forse, come ricovero dopo.

La struttura nel suo aspetto planimetrico trova confronti puntuali con altre due strutture simili nel
comprensorio giarratanese, Donnascala e Monte Rotondo e forse una terza, Calaforno 2, rinvenuta
contestualmente a Calaforno 1 nel terrazzamento opposto: planimetricamente si svolgono secondo uno
schema simile in cui ad una grotta di ingresso di pianta irregolare segue un sistema di camerette circolari. Un
quarto ipogeo, quello di contrada Matricedda, si dipana su due livelli ed è forse cronologicamente più tardo
dei primi ed l’unico che per la sua struttura pare si possa accostare a quello maltese di Ħal Saflieni, mentre
gli altri sarebbero da ricondurre a modelli locali propri della facies di Malpasso piuttosto che alle influenze
maltesi.

Nella seconda fase della ricerca, svoltasi a partire da 2013, grazie ad un accordo tra le comunità montane
iblee (Ragusa, Monterosso Almo, Giarratana, Chiaramonte Gulfi) che hanno deciso di devolvere parte dei
fondi ex INSICEM in ricerca, tre campagne di scavo si sono succedute nell’area dell’ipogeo. Sono state
condotte e dirette dalla Soprintendenza di Ragusa, ed in particolare da chi scrive, dalla compianta collega
Anna Maria Sammito e dai colleghi Giuseppe Terranova, Dario Puglisi ed Elisabetta Tramontana.
Ci si è concentrati soprattutto nell’area dell’ingresso liberando il corridoio di accesso agli ambienti
sotterranei, un dromos fiancheggiato da possenti murature in tecnica poligonale che si conservano fino ad
oltre 1,50 m, ed allo svuotamento della grande sala di ellittica (8,00 x 4,90m; h max 1,70m) che funge quasi
da vestibolo al sistema delle camerette. Qui, al centro del piano pavimentale si è rinvenuto uno stretto canale
incassato nella roccia che si allunga dalla zona antistante l’ingresso fino ad oltre la metà del camerone e che
serviva, forse, a far defluire le acque che confluivano all’interno del recesso durante le piene periodiche del
vicino torrente San Giorgio.

Nel corso della campagna di scavi del 2019 nello spazio che precede il dromos, inaspettatamente, è stato
messo in luce un imponente complesso megalitico finalizzato a monumentalizzare l’area esterna.
Nella fase più antica, infatti, databile all’Eneolitico tardo (facies di Malpasso) dinnanzi all’ipogeo si trovava
un edificio a pianta circolare del diametro di 6,60m caratterizzato da poderose strutture murarie in tecnica
megalitica conservate fino ad un’altezza di 1,30m. Accessibile da sud-est e probabilmente coperto, esso era
collegato all’ipogeo attraverso una porta architravata per la quale si passava nel lungo dromos probabilmente
anch’esso coperto. Il centro del dromos era occupato da un canale scoperto in continuità con quello
precedentemente rinvenuto all’interno della sala ellittica. L’edificio circolare era marginato, sul lato ovest, da
un possente muraglione dall’andamento irregolarmente rettilineo, dello spessore di più di un metro, messo in
luce una decina di metri che fungeva forse anche da argine in relazione al vicino corso d’acqua.

Nella seconda fase, risalente all’Eneolitico finale (facies di S. Ippolito), il complesso subì un significativo
ridimensionamento. Il dromos fu obliterato e continuò forse ad essere utilizzato solo nei livelli superiori,
mentre un nuovo edificio, oggi conservato per meno di metà del suo perimetro, ma probabilmente in origine
a pianta ellittica, fu impiantato sulla precedente struttura circolare. Anch’esso realizzato in tecnica
megalitico, aveva dimensioni considerevoli: il tratto superstite nord è lungo oltre 10m e si conserva fino a
1,00m di altezza.
I livelli di distruzione ed abbandono dell’edificio circolare sono caratterizzati da una notevole quantità di
vasi assegnabili all’orizzonte di Malpasso che, per numero e varietà, ha pochi confronti nel panorama finora
noto relativamente a quella facies.
Le ceramiche rinvenute nell’edificio ellittico che fu impiantato sulle rovine del precedente, invece, mostrano
precisi confronti con lo stile di S. Ippolito, tradizionalmente attribuito all’Eneolitico Finale.
Gli scavi condotti in questi anni hanno permesso di stabilire che l’ipogeo di Calaforno mantenne anche in
epoca protostorica e storica la sua valenza cultuale. In epoca protostorica legandosi forse alla
venerazione di divinità connesse alla profilassi ed all’acqua tra cui probabilmente alcune di tradizione latino-
italica quali le Paides e Anna Perenna onorate nel non lontano comprensorio di Buscemi dalle comunità
Sicule che attorno al Monte Lauro erano particolarmente caratterizzate e concentrate per scopi
commerciali e produttivi. In epoca storica e successiva all’arrivo dei Greci nell’area dell’alto Irminio,
l’ipogeo continuò ad essere utilizzato come spazio del sacro come testimoniato dal rinvenimento di monete
di Siracusa del V secolo a.C., ma soprattutto, al suo interno, di una statuetta del dio fenicio Bes, databile tra
il IV e il III secolo a.C. e, nei livelli esterni, al di sopra dell’ingresso dell’ipogeo, di una coeva deposizione
votiva con innumerevoli pesi da telaio, uno strigile in ferro ed una coppa a vernice nera.
A breve saranno avviati, forse, nuovi lavori per procedere alla definitiva valorizzazione e messa in fruizione
dell’ipogeo che è certamente da considerare il valore aggiunto nello straordinario Parco Forestale e
Naturalistico di Calaforno che speriamo tutti possa presto rinascere a nuova vita dopo il devastante incendio
dell’estate dello scorso anno.
BIBLIOGRAFIA:
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nell’area dell’ingresso all’Ipogeo. Atti del Convegno Internazionale di Studi, La Sicilia Preistorica.
Dinamiche interne e relazioni esterne, Catania-Siracusa, 7-9 Ottobre 2021: c.d.s.
Le foto sono dell’autore, funzionario della Soprintendenza ai Beni Culturali di Ragusa, responsabile delle
ricerche nel sito di Calaforno per conto del Dipartimento dei Beni Culturali – Assessorato ai Beni Culturali
della Regione Siciliana.
La pianta è stata rielaborata dalla Cattedra di Civiltà Egee dell’Università di Catania diretta da Pietro
Militello.
La foto in evidenza riproduce l’interno dell’Ipogeo di Calaforno: il camerone ellittico.