Tracciare una sintesi sulla religiosità delle comunità di cacciatori-raccoglitori dell’Isola significa, al momento attuale, riproporre per grandi linee lo schema generale elaborato in passato e di recente da diversi autori. Il lavoro di ricerca degli studiosi infatti ha consentito di fornire un certo numero di documenti e di far progredire, per quanto possibile, l’interpretazione delle testimonianze riferibili a pratiche cultuali e rituali del remoto periodo paleo-mesolitico.
In questa sede si prenderanno in esame le attestazioni dell’arte rupestre e in particolare le rappresentazioni di figure umane rinvenute sulle pareti della Grotta di Cala dei Genovesi a Levanzo e di una delle grotte dell’Addaura a Palermo.
Nella Grotta di Cala dei Genovesi sono raffigurati a incisione tre soggetti antropomorfi completamente spersonalizzati, come la maggior parte delle rappresentazioni umane dell’arte paleolitica, e databili all’Epigravettiano finale-prima fase (entro i 12.000 anni da oggi): uno ha la testa di uccello, gli altri due, probabilmente un uomo e una donna, hanno una testa cuneiforme senza lineamenti del volto. La donna ha un profilo sinuoso del corpo, molto simile a quello di una figuretta umana dipinta in rosso (l’unica pittura rossa della grotta), presumibilmente anch’essa di epoca paleolitica. Il soggetto centrale, interpretato in passato come la raffigurazione di uno “stregone o di un uomo-totem”, ha la testa trapezoidale, quasi ad ascia, e gli arti inferiori che terminano con i piedi palmati, come quelli dei volatili; il corpo quadrangolare non presenta le braccia ed è segnato lungo il contorno da misteriose incisioni perpendicolari al bordo della figura; un gruppo di queste sottili incisioni si dipartono al di sotto del capo, facendo ipotizzare che si possa trattare dei segni di una lunga barba. Il soggetto alla sinistra del presunto stregone ha il corpo dalla sagoma svasata nella parte inferiore, quasi come una lunga veste che non consente di mostrare le gambe; il braccio sinistro, non in asse con quello destro, è goffamente curvato verso l’alto. In questa figura la testa è l’elemento più interessante, in quanto esibisce un robusto becco appuntito e aperto e un’ampia chioma che termina con una sorta di cresta galliforme. Il personaggio alla destra dello “stregone o uomo-totem” mostra la sagoma del corpo ondeggiante, come di chi si sta muovendo vorticosamente, forse esibendosi in un passo di danza. In esso si identificano i fianchi, la prominenza dell’addome e le braccia aperte, portate verso il basso, una delle quali presenta due coppie di tre solchi, probabilmente dei bracciali.
Sulla testa ha lo stesso copricapo ad ascia dello “stregone”, particolare che si rileva anche nella figura dipinta in rosso, dal profilo simile al personaggio danzante, che si trova un po’ distante dalla triade.
Considerando gli attributi anatomici mostrati da queste quattro figure, si può ipotizzare che, ad eccezione dello “stregone”, dal fisico apparentemente possente, e forse anche del personaggio mascherato con becco e cresta, gli altri due individui siano di sesso femminile, attribuzione che si desume dalle forme esili e flessuose dei loro corpi.
Gli studiosi, prendendo in considerazione solamente la sagoma del corpo dello “stregone”, hanno notato evidenti elementi di similarità con due ciottoli dipinti con sottili linee rosse, rinvenuti nel 1953 da Paolo Graziosi, nel riparo esterno della grotta. In particolare, in uno dei due ciottoli sono presenti, nella parte alta, due serie di sottili linee parallele che ricordano la “barba” dello “stregone”, mentre sui lati lunghi di entrambi i reperti sono dipinte le stesse curiose tacche laterali che caratterizzano anche il personaggio centrale della triade antropomorfa. Da queste semplici osservazioni è emersa l’ipotesi che i ciottoli possano essere la riproposizione fisica, oltreché simbolica, del soggetto inciso sulla parete della grotta-santuario. Se così fosse, ne conseguirebbe che il cosiddetto “stregone o uomo-totem” raffigurato sulla parete della grotta di Levanzo, potrebbe più probabilmente essere una sorta di “idolo” o, per meglio dire, la materializzazione di un antenato o di un Essere supremo: un’entità venerata dai frequentatori del santuario, una figura che i fedeli potevano schematicamente riprodurre, prendendone possesso o offrendola come ex-voto, attraverso la sua rappresentazione sotto forma di amuleto, dipinto sui ciottoli, supporto sul quale si potevano ben rappresentare il corpo, segnato dalle misteriose tacche, la presunta barba, ma non gli altri dettagli, che si trovano invece riprodotti nella figura incisa sulla parete della grotta, simboleggiante forse una divinità legata all’elemento “aria”, sede presumibilmente dell’essenza e delle forze
dominanti nel pantheon dei cacciatori-raccoglitori, cui potrebbe fare riferimento anche il personaggio con maschera dalle sembianze di uccello.
Dagli elementi fin qui rilevati sembra quindi che a Levanzo la credenza in un essere supremo fosse un concetto ancora allo stadio embrionale: lo troviamo, infatti, umanizzato e fisicamente presente sulla scena.

Del tutto eccezionale invece sia per il “bello stile” sia per l’originalità del contenuto si può considerare il gruppo di incisioni rupestri segnalato da Jole Bovio Marconi nel 1953 presso le Grotte dell’Addaura, un vasto complesso di cavità, formatesi per l’azione erosiva del mare, che si aprono lungo la falesia settentrionale del monte Pellegrino di Palermo. La più importante di esse è la grotta Caprara, ben visibile anche dalla costa sottostante, vicino alla quale seguono immediatamente ad Ovest le più piccole grotte denominate Antro Nero o dei Bovidi (in quanto vi si trovano incise due figure di bovidi) e, poco oltre, la Grotta dell’Eremita o Grotta delle Incisioni o anche Addaura II.
Le incisioni rinvenute all’interno di questa cavità (figure umane, animali e segni lineari) sono state eseguite sulla parete sinistra della grotticella, dove iniziano a 2,15 m dall’attuale piano di calpestio, occupando una fascia della superficie rocciosa larga da 1 metro a 40 cm circa. In particolare, le raffigurazioni che hanno reso celebre l’Addaura sono quelle della cosiddetta “scena dei danzatori” in cui sono rappresentati vari personaggi (alcuni caratterizzati da un copricapo o da una folta capigliatura, altri a testa nuda) i quali hanno il volto mascherato ad uccello, con un lungo becco; inoltre al centro della scena si trovano due uomini con le gambe fortemente flesse all’indietro che sembrano collegate al collo con una corda che si diparte dalle caviglie. Altre incisioni, per lo più incomplete, si trovano sulla parete di fronte all’ingresso.

Sul possibile significato dell’eccezionale quanto emblematica “scena dei danzatori”, rappresentata sulla parete sinistra di questa piccola grotta, sono stati versati fiumi d’inchiostro, le interpretazioni fornite dagli studiosi sono state varie e molteplici e hanno riguardato, in particolare, i due personaggi posti all’interno del “cerchio” dei “danzatori”che per alcuni sarebbero acrobati oppure esecutori di un esercizio ginnico, mentre per altri sarebbero dei condannati a morte per strangolamento o vittime di un sacrificio rituale.

In una recente pubblicazione Antonino Filippi, nel tentativo di ricercare un significato simbolico da accreditare ai personaggi raffigurati all’Addaura, ha presentato una suggestiva interpretazione della scena rappresentata che riteniamo altamente probabile e condivisibile. Secondo lo studioso i due uomini, protagonisti, a seconda delle diverse ipotesi, di una prova fisica o di un sacrificio umano, non furono semplicemente “legati” a scopo punitivo, ma, in realtà, quei lacci costituivano un “legame” simbolico, di vita e di morte, dell’uomo con la divinità, verso la cui potenza la comunità tutta si rivolgeva.
Filippi ritiene inoltre che un secondo aspetto simbolico riguardante i due soggetti antropomorfi è il fascio di tre linee convergenti che in entrambi gli uomini attraversano il corpo in posizione baricentrica. L’autore, dopo avere scartato con plausibili argomentazioni la spiegazione anatomica (organo sessuale maschile, astuccio fallico) sostenuta finora da alcuni studiosi, scrive che “il significato di queste tre linee convergenti stava già sotto gli occhi di tutti sin da quando lo stesso Paolo Graziosi, quasi sessant’anni fa, dichiarando che tali linee formavano una figura del tutto simile ai becchi di uccello delle maschere portate dagli altri personaggi, era giunto alla soluzione del problema; ma lo studioso continuò per la sua strada, ostinandosi nell’idea che si trattasse dei genitali o di cappucci fallici. Filippi giunge così alla conclusione che i due personaggi sono molto probabilmente trafitti dalla rappresentazione simbolica di becchi di uccelli, quegli stessi uccelli evocati, durante il rituale, dai “danzatori” mascherati e che, secondo l’autore, potrebbero essere uccelli rapaci appartenenti alla specie degli avvoltoi, come i grifoni o i capovaccai, vissuti in Sicilia sin dal Pleistocene e la cui antica presenza sulle rupi che circondano la Conca d’oro, proprio dirimpetto al monte Pellegrino, è ricordata dal toponimo monte Grifone.
Dunque, in conclusione, raffigurando i due soggetti durante la loro morte, rituale o reale che fosse, causata dai lacci della divinità e seguita dal sacrificio dei loro corpi dati in pasto agli uccelli divini, l’artista che ha realizzato la scena dimostra di appartenere ad una società nella quale l’uomo non si rapporta più solo con la natura, quale suo unico referente divino, ma la utilizza quale elemento mediatore nel tentativo di trovare un canale privilegiato di comunicazione con una divinità che ora non è più terrena, ma ultraterrena e uranica.
Riferimenti bibliografici
Filippi 2015 = A. Filippi, I danzatori dell’Addaura. Le radici preistoriche della religiosità in Sicilia, Palermo 2015.
Mannino 2017 = G. Mannino, L’arte rupestre preistorica in Sicilia, Ragusa 2017.
Martini 2008 = F. Martini, Archeologia del Paleolitico. Storia e cultura dei cacciatori-raccoglitori, Roma 2008.
Vigliardi 1997 = A. Vigliardi, L’arte rupestre e mobiliare dal Paleolitico all’Eneolitico, in S. Tusa (a cura di), Prima Sicilia. Alle origini della società siciliana, Palermo 1997, pp. 125-134.
In copertina: Levanzo (TP). Grotta di Cala dei Genovesi, veduta panoramica
(Archivio fotografico di SiciliAntica)