Molto diffuse, in passato, in gran parte dell’Italia, dall’arco alpino (dove prendono il nome di “ghiacciaie”) alle due isole maggiori, la presenza delle neviere in Sicilia è stata particolarmente frequente e le relative attività documentate fino agli scorsi anni Trenta-Quaranta. Nel territorio ibleo, nel periodo di massima diffusione se ne censirono oltre venticinque nel solo comune di Buccheri e una ventina a Chiaramonte Gulfi. Tracce di neviere si registrano anche a Buscemi, Palazzolo Acreide, Monterosso Almo, Ragusa, Vizzini e Licodia Eubea.
Su tredici di esse, tutte allocate nel territorio della provincia di Ragusa, la locale Soprintendenza ha posto un vincolo di tutela: otto di queste si trovano nel territorio di Chiaramonte Gulfi e altre quattro al confine tra il territorio di Chiaramonte e quelli di Ragusa o Monterosso Almo. La tredicesima si trova a Ragusa. La maggior parte di esse ricade in appezzamenti privati ma sono agevolmente visibili dalla pubblica strada. Per ragioni di sicurezza, l’ingresso ne è interdetto, anche in quelle strutture, come la neviera dell’Arcibessi, che ricade su terreno demaniale.
Strutture simili sono presenti anche nel palermitano, presso la Rocca Busambra, o sui Nebrodi, come a Mistretta; infine, sull’Etna, dove i crateri inattivi sono stati in passato utilizzati per l’immagazzinamento della neve. La neve, trasformatasi nel frattempo in ghiaccio, serviva a rifornire sia i comuni presso i quali erano allocate le neviere, sia le città limitrofe (site in zone pianeggianti o in prossimità del mare) sia, infine, l’isola di Malta.
L’usanza di conservare la neve allo scopo di avere delle riserve di ghiaccio durante i mesi più caldi risale all’XI secolo. In quest’epoca, alcune aree dell’Etna furono cedute al vescovo, a condizione che la città di Catania ricevesse una provvista minima annuale di ghiaccio. La stabilizzazione termica la si otteneva ricoprendo la neve con strati di cenere, che poi veniva eliminata – attraverso tecniche di raschiatura – al momento dell’estrazione dei blocchi di ghiaccio, durante la primavera e l’estate.
In area iblea, le neviere più antiche (ormai non più esistenti) videro probabilmente la luce intorno ai secoli XIV-XV, mentre il periodo di massima diffusione va ricompreso tra il XVIII e il XIX secolo, quando furono realizzate le neviere di cui ancora oggi rinveniamo traccia. La gestione delle stesse ricadde per lo più sugli enti ecclesiastici e, soltanto secondariamente, affidata alle corporazioni di mestieri.
Quali furono i principali utilizzi del ghiaccio? L’utilizzo abituale riguardò l’ambito medico-curativo, in particolare per la diffusione della cosiddetta “cura del freddo”, praticata nei casi di malattie caratterizzate da febbri molto alte e prolungate. A partire dal XVIII secolo se ne diffuse l’uso alimentare, finalizzato tanto alla conservazione dei cibi (carni e pesci, in primis) quanto alla preparazione di sorbetti/granite o prodotti affini, consumati prevalentemente in occasioni particolari (matrimoni, battesimi, ecc.) presso le famiglie nobili del tempo.
Negli Iblei, le neviere furono realizzate scavando la roccia calcarea: i blocchi di pietra estratti venivano riutilizzati nella composizione di pareti ed eventuale perimetro esterno; la copertura, infine, caratterizzata da una sorta di doppia falda spiovente, realizzata secondo la tipica tecnica della “dammusata siciliana”. La profondità delle neviere iblee risulta essere più elevata rispetto ad altre analoghe costruzioni del resto della Sicilia. Solitamente, si registra una profondità di 5-6 metri, con punte che arrivano a sfiorare i 10 mt. Ogni neviera era riempita con circa 25-30 strati di neve, a formare dei blocchi più o meno regolari, tra di loro separati attraverso l’utilizzo di elementi naturali come paglia e fogliame.
I lavoratori impegnati nella raccolta della neve furono essenzialmente operai giornalieri, ingaggiati a seconda delle esigenze e in base all’andamento del clima. La raccolta si svolgeva attraverso la realizzazione, per rotolamento, di grosse balle di neve, poi caricate singolarmente sulle spalle e introdotte all’interno delle varie neviere per mezzo di botole appositamente create nella parte superiore delle stesse. In alcuni casi, onde agevolare lo spostamento delle balle di neve, gli operai infilzavano le stesse con appositi bastoni.
Man mano che ogni strato di neve veniva colmato, una squadra di operai, nel frattempo calatisi nella neviera, si occupava della battitura e del compattamento della neve e della relativa suddivisione in blocchi. La paglia utilizzata a tale scopo fungeva anche da isolante termico per la neve nel frattempo divenuta ghiaccio. Durante i mesi estivi, l’estrazione dei blocchi avveniva mediante una carrucola collocata sul portello frontale di ogni neviera. Quindi, i blocchi di ghiaccio erano trasportati su carri trainati da muli o cavalli. Ogni neviera era dotata di un canale di scolo, per consentire il drenaggio delle acque disciolte ed evitare che il resto del ghiaccio si sciogliesse o si sporcasse.
Non di rado, in prossimità di alcune neviere erano allocate delle costruzioni più piccole, aventi la funzione di depositi di immagazzinamento temporaneo per lo stoccaggio o la lavorazione della neve prima del loro inserimento in neviera.
In area iblea, la più importante realtà in questo settore economico fu Buccheri, dove – come detto – nei dintorni di Monte Lauro furono censite circa 25 neviere, molte delle quali con formati differenti tra loro. Il nome dialettale delle neviere di Buccheri è ‘rutti’, cioè grotte, poiché le più antiche ebbero dimensioni ridotte, richiamando, per l’appunto, la morfologia delle grotte. Altre, invece, ebbero forma circolare, simili a dei trulli con cupola schiacciata.
Altra area contraddistinta da una ricca presenza di neviere è quella del Monte Arcibessi, in territorio di Chiaramonte Gulfi, dove la relativa attestazione va ricondotta al periodo compreso tra il XVI secolo e le prime decadi del XX secolo. Ancora visibile la celebre neviera dell’Arcibessi, meglio nota come “Lupa” per la rilevante capacità di immagazzinamento di neve al proprio interno.
Riferimenti bibliografici:
- Cultrera, L’industria della neve. Neviere degli Iblei, Utopia edizioni 2001.
- Lombardo, L’impresa della neve in Sicilia. Tra lusso e consumo di massa, Le Fate 2018.
- Patanè, I viaggi della neve. Raccolta, commercio e consumo della neve dell’Etna nei secoli XVII-XX, Mediterranea 2014.
1 comment
Sempre piacevole rileggerlo anche dopo anni. Pierpaolo