L’ARTE CULINARIA SICILIANA FRUTTO DI UN’AGRICOLTURA ANTICA E SOSTENIBILE

Dalla coltivazione intensiva alla tutela della biodiverità

by Antonino Cataudella
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L’obiettivo per vivere bene è produrre e consumare cibo sano, tenendo conto della qualità dell’ambiente.

L’agricoltura del futuro deve valorizzare le produzioni locali dove il contadino saprà riappropriarsi della capacità di favorire un’alimentazione sana per la salute, rafforzando le economie locali della produzione alimentare, accorciando le filiere, così come da decenni sostiene Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, su La Stampa del 19 gennaio scorso,  che “tutta la gastronomia mondiale è un fiume in continuo mutamento, piatti che diventano identitari in base allo scambio (…) nessuna competizione, quindi, nessuna rigidità. Il linguaggio del cibo è figlio di un continuo meticciato e la bellezza della gastronomia sta in queste chiavi di lettura”.
La cucina tradizionale e di riflesso anche l’agricoltura, hanno subito, sia l’influenza del fenomeno migratorio (1875 – 1915) verso l’America, dove era già sviluppata l’industria alimentare e dove i migranti italiani, arricchendo le consuetudini alimentari, hanno costruito una propria identità, sia gli effetti del Boom Economico degli anni Cinquanta – Sessanta (1958 – 1963) che, per gli Italiani, ha segnato un cambiamento delle abitudini alimentari con la conseguente repentina rottura con il passato agricolo e la conversione dai cibi tradizionali a quelli industriali.

Foto 1 - Pane di casa

In questo contesto anche l’agricoltura si è orientata verso nuove tecniche agronomiche come l’utilizzo massiccio di concimi di sintesi, la creazione di specie migliorate geneticamente, l’allevamento intensivo e il largo uso di fitofarmaci, con tutte le conseguenze negative oggi note.
La perdita della biodiversità per la pratica delle monocolture, porta ad un deterioramento della qualità della vita umana, mentre il legame del cibo con le sue origini agricole, rappresenta il paradigma di una nuova era, in contrasto con il processo di omologazione consumistica che ci propina una alimentazione sempre più scadente, con la standardizzazione di prodotti di massa privi di qualità organolettica.
Il Prof. Piero Bevilacqua, Ordinario di Storia Contemporanea dell’Università di Roma La Sapienza, nel sostenere che, la biodiversità è la strategia vincente non solo per avere raccolti più sicuri, stabili e un’alimentazione più varia, ma anche per combattere le avversità naturali, le malattie e gli attacchi dei parassiti, intravede l’avvio di una rivoluzione culturale che porta verso una pratica ecosistemica per produrre cibo, cooperando con l’esperienza dei contadini.
Le diverse tradizioni culinarie italiane hanno determinato un’unicità dell’Italia nel mondo, per ricchezza di prodotti agricoli ed alimentari.

Foto 2 . Cucciddatu scaniatu

La Sicilia è stata un crocevia di diverse civiltà Mediterranee che, senza volere enfatizzare il fenomeno, hanno lasciato importanti tradizioni gastronomiche, le quali, a seguito di innumerevoli processi di trasformazione, hanno sviluppato una singolare cultura agricola di ineffabile ricchezza e varietà, ed è proprio questa ricchezza che dobbiamo difendere, come paradigma di una nuova era.
La cucina siciliana ha imparato ad usare le erbe aromatiche e l’arte di fare il pane di casa dai Greci, le salse di pesce, il mosto cotto e il miele dai Romani, l’uso di canna da zucchero, riso, droghe, spezie, l’unione del dolce con l’agro e l’uso della pasta (Edrisi, nel 1154 menzionava “un cibo di farina in forma di fili”), dagli Arabi i quali, hanno introdotto avanzate competenze tecnico-scientifiche, fra cui la pratica irrigua necessaria per le colture estive ed hanno introdotto e/o diffuse: canna da zucchero, cotone, sommacco, zafferano, canapa, lino, sesamo, papiro, zucche, cetrioli, melanzane, cocomeri, meloni, palme da dattero, cedri, aranci e limoni, gelsi, melograni, noci, mandorli, pistacchi, olivi, carrubi. Con i Normanni abbiamo conosciuto anche il baccalà e la gastel (“guastedda”), mentre dagli Svevi le “sarde a beccafico”, le verdure lessate, i formaggi, i dolci con ricotta e la frutta secca. Con gli Angioini le carni venivano cucinate in tegame. Con gli Spagnoli è stata perfezionata la cassata siciliana e sono stati utilizzati pomodori, patate, peperoni, cacao e legumi (fave, fagioli, lenticchia, ceci), quest’ultimi ricchi di proteine, carboidrati e sali minerali che divennero presto pasto povero capace di sostituire le qualità della carne.

Foto 3 - Tiano con ceci

Dopo l’arrivo a Napoli nel 1768 dei cuochi francesi, chiamati Monsieur, da cui il nome dialettale napoletano Monzù, molte famiglie del Mezzogiorno d’Italia (anche in Sicilia), nell’Ottocento, li tennero al loro servizio. I Monzù riuscirono a fondere culture gastronomiche diverse, portando anche nuove tecniche e rielaborando con sapienza le pietanze.
Nel comprensorio Ibleo, nonostante la frenesia dei ritmi lavorativi, si mantiene ancora la tradizione di riunirsi in famiglia la domenica e nelle feste e pranzare insieme, valorizzando la cultura gastronomica del territorio, che è costituita di tante pietanze tradizionali, di cui mi piace ricordarne alcune:
 pane di casa con lievitazione naturale (impastato con semola di grani duri autoctoni con bassissimo indice di glutine ed elevate caratteristiche qualitative, organolettiche e nutrizionali), ‘nciminata cunzata, i cucciddati scaniati, scacce (cibo “povero” della tradizione contadina, tutt’ora farcite con pomodoro e cipolla, pomodoro e formaggio, con prezzemolo ed acciuga, con pomodoro e melanzane, con cavolfiori, fave verdi e così via), le impanate di carne (agnello, maiale, tacchino) e di pesce (seppie, palombo, anguilla), i pastizza di verdura (cavolfiori, spinaci, bietole selvatiche, topinambur), sfuogghiu e ‘nfigghiulata di ricotta e salsiccia, pastieri di carne;
 zuppe di legumi;
 pasta fatta in casa, tagliolini in brodo di gallina, pasta al sugo di maiale, i ravioli di ricotta, pasta co maccu, cavatieddi al sugo di maiale o con i cavolfiori, pasta cavoli e pomodoro, pastizzu scupiertu, pasta ca tunnina, tianu con i ceci, pasta con il nero di seppie, pasta con le sarde, pasta alla norma, ‘ncucciateddu con zucca e ricotta, lolli con le fave;

Foto 4 - Testa di Turco

caponata, parmigiana, arancini al sugo; gelatina di maiale, turciniuna, fegato di maiale con caiola, pollo ripieno, coniglio alla stimpirata, coniglio alla pattuisa, falso magro, costate di maiale ripiene, bollito, sarde a beccafico, zuppa di pesce, seppie ripiene, palombo a stimpirata, cotolette di acciughe, baccalà fritto oppure ad insalata, lampuga alla matalotta;
 cannoli di ricotta, cassata siciliana, teste di turco, cuddureddi di mosto dolce, mostarda, cubaita (ricetta Araba),’npanatigghi, mustazzola, torrone, biancomangiare, amaretti, biscotti ricci, cardinali, galletti, passavulanti, parmetti, berlingozzi, savoiardi, granita di limone, granita di gelsi neri, marmellata di mele cotogne, cassate di Pasqua.

Ai siciliani nati tra gli anni ’50 e gli anni ’60 è affidato il compito non indifferente di conservare le tradizioni di questa preziosa arte culinaria da tramandare alle generazioni future.

In copertina: il Fagiolo Cosaruciaru di Scicli, presidio Slow Food

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

PIERO BEVILACQUA, Un’agricoltura per il futuro della terra – Il sistema di produzione del cibo come paradigma di una nuova era, Seggiano di Pioltello, Slow Food Editore, 2024
FRANCESCA POIDOMANI, Il cibo degli Iblei, taccuinigastrosofici.it
F. BUCCHERI, E. DISTEFANO, F. TIDONA, Antiche ricette negli Iblei, Ragusa, A.A.P.I.T.,2003
CARMELO MAIORCA, BIANCA MINARDO, In cucina con Slow Food – Ricette di Sicilia, Seggiano di Pioltello, Slow Food Editore, 2015

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