La frutticoltura, intesa come settore dell’agricoltura, destinato alla coltivazione di specie arboree da frutto, rappresenta uno dei comparti di maggiore interesse del settore primario italiano, interessando da nord al sud del Paese diversi contesti territoriali e ambientali. In Italia sono di fatto diffuse, in coltura specializzata o meno, tutte le principali specie temperate, tipiche mediterranee ed anche molte di origine tropicale e subtropicale, tutte utili per una ricchezza che, lungi dall’essere solo economica, è anche di natura biologica, paesaggistica, culturale. Tale ricchezza affonda le sue radici in una storia millenaria, di lenta ma progressiva diffusione di specie e varietà all’interno degli ordinamenti produttivi e che ha accompagnato la storia dell’uomo attraverso l’opera di generazioni di agricoltori che, attraverso la propagazione, sia gamica che agamica, hanno favorito la selezione e la diffusione delle diverse specie e delle migliori varietà nelle diverse zone di insediamento.
Accanto alle specie di interesse economico maggiore (pomacee, drupacee, alcune specie da frutta secca, actinidia, agrumi, olivo, vite) insistono nei diversi ambienti italiani numerose altre specie che, nel loro complesso, formano un insieme disomogeneo che viene individuato come quello dei fruttiferi minori.
Per “fruttiferi minori” si intende un variegato gruppo di specie frutticole, differenti tra loro per numerosi aspetti e che, di fatto, può essere definito solo in antitesi rispetto al gruppo dei “fruttiferi maggiori”, cioè quelli che, a seconda della scala considerata (mondiale o nazionale), fanno registrare valori della produzione che superano una determinata soglia. In passato, per quanto riguarda il nostro Paese, tale soglia è stata convenzionalmente ed empiricamente fissata ad un valore di 100.000 tonnellate su base annua. Occorre tuttavia anche precisare che da questo variegato gruppo sono escluse ulteriori specie che, seppur non raggiungendo il valore soglia sopra richiamato, assumono nell’attuale contesto della frutticoltura italiana una autonoma configurazione; è il caso ad esempio del comparto della fragola e dei piccoli frutti o frutti di bosco (lampone, rovo, mora, uva spina, ribes) o del comparto dei fruttiferi di origine tropicale e subtropicale di più recente introduzione nel nostro paese e che, per l’interesse riscontrato da alcuni di questi (avocado, mango, papaia, annona) nelle regioni meridionali del nostro Paese, assume ormai una propria autonomia.
Nella tabella 1 viene proposto un elenco, certamente non esaustivo, di specie, che in funzione delle caratteristiche sopra richiamate, possono essere incluse in tale comparto. Si tratta, come anticipato, di specie che rispetto a quelle di importanza maggiore hanno certamente una minore diffusione (in molti casi limitata a specifici contesti territoriali) e solo di rado sono oggetto di coltivazione specializzata su grandi estensioni, anche se con alcune importanti eccezioni, alcune delle quali riguardanti proprio la Sicilia, dove specie quali il pistacchio o il ficodindia raggiungono livelli di specializzazione colturale molto significativi e le cui produzioni sono peraltro insignite di riconoscimenti comunitari che attestano la loro tipicità (Pistacchio di Raffadali DOP; Pistacchio Verde di Bronte DOP; Ficodindia dell’Etna DOP; Ficodindia di San Cono DOP) . Ciò del resto non sorprende, ove si consideri che, per sua stessa natura, il concetto di fruttiferi minori richiama una certa dinamicità potendo includere anche specie che in passato rivestivano una maggiore importanza relativa in alcuni contesti (ad esempio il castagno, inteso come coltura da frutto), od altre che oggi potremmo considerare “emergenti”, soprattutto perché ne vengono scoperte (o riscoperte) nuove funzionalità d’uso, principalmente per utilizzi salutistici (è il caso ad esempio del melograno). Ulteriori specie sono andate incontro a una progressiva marginalizzazione che è coincisa anche con una graduale concentrazione in aree territoriali molto circoscritte, e che di fatto sta alla base della loro tipicità; è il caso del carrubo, per il quale oltre il 90% della produzione italiana proviene oggi dalle province di Ragusa e Siracusa, nelle quali assume anche una forte valenza simbolica e identitaria, come di recente approfondito nel volume “Il Carrubo è l’Uomo” (Blangiforti et al., 2022).
Le ragioni per le quali alcune delle specie considerate sono state via via relegate a un ruolo marginale sono molteplici e riguardano il processo di specializzazione cui è andato incontro il settore della frutticoltura industriale che mal si concilia con alcune caratteristiche espresse invece dalle specie di nostro interesse. Tra queste si segnalano la scarsa serbevolezza, le ridotte dimensioni (con le conseguenze sui costi di raccolta), alcune caratteristiche riproduttive complesse, la lenta entrata in fruttificazione, l’elevata vigoria, la spinescenza, l’alternanza di produzione, la scalarità dell’epoca di maturazione, la difficoltà di accesso alla parte edule del frutto (ad esempio nel caso del melograno) e, in definitiva, la ridotta idoneità ad essere immessi nei circuiti commerciali della grande distribuzione organizzata.
Molti dei fruttiferi minori sono tipici dell’arboricoltura promiscua e di quella di prossimità in quanto assicuravano nelle aree rurali quella diversificazione di prodotto necessaria per il sostentamento degli insediamenti rurali. Molte specie minori erano quindi frequentemente rinvenibili come piante sparse, ma al contempo ben custodite (ad esempio il gelso, in questo caso utilizzato anche per l’alimentazione del baco da seta). Come detto, in molti casi tali specie sono caratterizzate da presenze sporadiche, di una o poche piante, all’interno di contesti produttivi accanto a specie di interesse maggiore, o in ordinamenti colturali consociati. Tale situazione, nonostante i caratteri di rusticità di molte di esse, le ha rese vulnerabili e ne ha assottigliato la consistenza e, spesso, il patrimonio genetico, anche a motivo del progressivo abbandono di aree rurali e per effetto del cambiamento delle abitudini alimentari e della modalità di approvvigionamento dei prodotti del settore primario, avvenuto a seguito del fenomeno dell’inurbamento.
I sorbi, a seguito dell’ammezzimento, i fichi a seguito dell’essiccamento, le castagne e la farina da esse ricavate hanno, ad esempio, rappresentato importanti fonti energetiche ed assicurato la sussistenza e comunque un importante apporto calorico e di vitamine per gli abitanti di zone rurali, magari montane e poco collegate ad altri centri, soprattutto nel periodo invernale.
Oggi sono molteplici i motivi per i quali si guarda con interesse ai fruttiferi minori; tra questi vanno segnalati l’elevata resilienza e capacità di resistenza ad avversità di natura biotica e abiotica, la multifunzionalità con produzioni utili per usi alimentari, cosmetici e medicinali, il contributo alla diversificazione dell’offerta di prodotti, la possibilità di insediamento in contesti marginali, il contributo alla protezione dell’ambiente e del paesaggio, il legame con il patrimonio naturale e culturale. A tal proposito va infine rilevato come le specie minori spesso occupino nicchie di mercato spesso molto definite in termini geografici e commerciali e si collocano spesso in antitesi rispetto ai modelli di consumo, anche dei prodotti frutticoli, ispirati a criteri maggiormente improntati all’edonismo e alla ricerca dell’”esotico”, nonché alla standardizzazione, anche visiva, imposta dagli stringenti parametri delle logiche commerciali con le quali vengono riscontrate le esigenze del consumatore moderno. I fruttiferi minori, di contro, possono contribuire a riallacciare il legame tra il prodotto e la sua storia e ad aumentare la consapevolezza del consumatore verso gli alberi, verso che li coltiva, e verso l’ambiente che li ospita.
Riferimenti bibliografici:
Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Elenco dei Prodotti DOP, IGP e
STG. https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2090
(consultato il 2 marzo 2024).
Bellini E., Giordani E., La Malfa S., I fruttiferi minori in Italia: una risorsa tradizionale per
l’innovazione frutticola. Due casi studio: il kaki e il melograno, Italus Hortus 17 (7), 2010.
Gentile A., Inglese P., Tagliavini M., Arboricoltura speciale, Edagricole, Università e Formazione,
2022.
Bellini E., I fruttiferi minori in Europa, Edizioni L’Informatore Agrario, Verona, 2002.
Blangiforti C., D’Amato A., La Malfa S., Sarnari A. Il carrubo è l’uomo. Memoria, storia e storie
attorno a un albero emblematico. Abulafia. 2022.
