CARETTA CARETTA, CHE PASSIONE!

by Daniela Freggi
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Nel cuore della costa agrigentina, tra le dune dorate e i profumi selvatici della Riserva Naturale Orientata di Torre Salsa, si è svolta nei primi giorni di luglio un’esperienza che ha intrecciato ricerca scientifica, emozione, cooperazione internazionale e un profondo amore per la natura. Una piccola grande storia di conservazione che ha trasformato Siculiana, per qualche giorno, in un crocevia mondiale di saperi, passione e biodiversità.
Il borgo ha avuto l’onore di ospitare un team internazionale impegnato nella tutela delle tartarughe marine: la biologa Manjula Tiwari, figura di riferimento dell’International Sea Turtle Symposium (ISTS) e tra le massime esperte mondiali di conservazione delle tartarughe; il biologo e documentarista John K.Dutton, che ha realizzato un cortometraggio per raccontare questa esperienza; l’artista austriaca Ruth Mateus, accompagnata dalla giovane Eleni Mateus, che ha assistito a un delicato intervento chirurgico su una Caretta caretta, eseguito dal Dott. Pietro Santalucia presso il Centro Recupero Tartarughe Marine di Cattolica Eraclea.

Monitoraggio a Torre Salsa

La piccola tartaruga era stata soccorsa in gravi condizioni a Catania e trasferita con il supporto della rete di trasporto d’emergenza attivata dalla dott.ssa Oleana Prato e da Gino Galia, figure chiave del coordinamento per le emergenze tartarughe in Sicilia, ed affidata alla responsabile del Centro Recupero Fauna Selvatica e Tartarughe marine di Cattolica Eraclea Silvia Grandis.
Poco dopo la mezzanotte, una segnalazione ha allertato il personale del WWF Italia, gestore della Riserva Naturale Orientata di Torre Salsa, circa una possibile ovodeposizione sulla spiaggia di Siculiana Marina. La tartaruga, ormai rientrata in mare, aveva lasciato sulla sabbia tracce inequivocabili: segni di un nido appena scavato, custode silenzioso di una nuova vita in arrivo.
Grazie alla prontezza del proprietaio del locale balneare Lustru di Luna, che ha subito messo in sicurezza l’area, all’alba il personale della Riserva e la dott.ssa Tiwari hanno potuto verificare la presenza delle uova e recintare il nido. Se le condizioni ambientali si manterranno favorevoli, tra circa 60 giorni decine di piccole Caretta caretta emergeranno dalla sabbia per compiere il loro viaggio verso il mare. La sopravvivenza di ciascun individuo sarà una sfida: si stima che solo una tartaruga su mille raggiunga l’età adulta.

Gruppo in sala operatoria

Gli operatori del WWF hanno poi proseguito la consueta attività di monitoraggio lungo il tratto costiero protetto, con la collaborazione entusiasta del team internazionale. E la meravigliosa spiaggia di questa splendida Riserva ha continuato a stupire: altre due tracce di nidificazione sono state individuate all’interno della Riserva. In uno dei due casi è stata confermata la presenza delle uova nel nido, anche se troppo vicino alla battigia. Per proteggerlo da eventuali mareggiate, si è proceduto sotto la supervisione della dott.ssa Tiwari alla delicata traslocazione delle uova in una zona più sicura e stabile della spiaggia: una pratica prevista dai protocolli internazionali, fondamentale per garantire il corretto sviluppo degli embrioni.
Un risultato importante per l’intera costa sud-occidentale della Sicilia, che negli ultimi anni si sta confermando sito appetibile per la nidificazione della Caretta caretta nel Mediterraneo centrale. La Caretta caretta è la tartaruga marina più comune del Mediterraneo, ma è classificata come specie vulnerabile nella Lista Rossa IUCN. Le principali minacce includono la pesca accidentale, l’inquinamento da plastica, il disturbo antropico delle spiagge, il degrado degli habitat costieri e i cambiamenti climatici, che alterano la temperatura della sabbia e quindi il sesso dei nascituri, determinato termicamente.

Da sx Dutton, Tiwari, Freggi.

La protezione dei nidi, così come il recupero e la cura degli esemplari feriti, rappresentano azioni chiave per la conservazione di questa specie. Una delle priorità del Centro Recupero di Cattolica Eraclea, gestito dall’Associazione Caretta caretta, è quella di implementare la sinergia fra istituzioni scientifiche, enti locali, ma soprattutto gli abitanti di questo prezioso territorio.
Nel solo 2024 sono stati segnalati e protetti oltre 180 nidi lungo le coste siciliane, con percentuali di schiusa superiori all’80%, grazie all’efficienza delle reti di segnalazione e all’impegno dei tanti volontari che con passione e generosità consentono il controllo di ampi tratti di costa. E negli ultimi anni, grazie al coordinamento tra enti come WWF Italia, Guardia Costiera, istituzioni scientifiche, il Centro Recupero di Cattolica Eraclea e tanti generosi ed appassionati volontari, il numero di nidi identificati e protetti nella provincia di Agrigento è cresciuto in maniera significativa.
La visita del team è stata anche un’occasione per esplorare l’identità culturale del territorio.
L’artista Ruth Mateus, da sempre ispirata dal rapporto tra uomo e natura, ha visitato il centro storico di Siculiana. Grazie all’accoglienza calorosa del Comune di Siculiana e alla passione dei giovani della Pro Loco, il team ha potuto vivere un’esperienza immersiva tra arte, storia e paesaggio urbano.

Gruppo di fronte al primo nido

In un clima sospeso tra scienza, emozione e creatività, le tartarughe hanno dimostrato ancora una volta il loro straordinario ruolo simbolico: unire mondi diversi, dal sapere scientifico all’educazione ambientale, dalla medicina veterinaria alla sensibilità artistica. La giovane Eleni, testimone diretta di questa esperienza, ne è uscita arricchita, emozionata e ispirata. E forse, proprio in questo sguardo nuovo, si cela il significato più profondo della conservazione: le tartarughe vanno protette non solo per il loro ruolo ecologico, ma perché trasmettono un’eredità e ci ricordano, con la forza silenziosa del loro ciclo millenario, quanto sia importante collaborare per preservare il nostro patrimonio naturale comune.

Nella foto di copertina: tartaruga operata in vasca

3 comments

Giovanni Papaccioli 27 Luglio 2025 - 15:51

La pesca al pesce spada con i palangari derivanti in superficie fa strage di tartarughe. Rimangono allamate quasi sempre in esofago. Impossibile slamarle, vengono liberate dai pescatori tagliando la lenza. Gli stessi pescatori potrebbero farvele avere se fossero ricompensati per “il disturbo” di caricarle in barca e accudirle adeguatamente fino alla fine della loro gornata di pesca. Un rimborso di 50 euro a tartaruga potrebbe essere significativo e invogliarli a farlo almeno per soldi ( per loro altre motivazioni sarebbero non giustificate). Su 1000 ami almeno 10 sono con tartarughe ancora vive recuperabili chirurgicamente.

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Francesco
redazione 2 Agosto 2025 - 7:03

Grazie Giovanni, l’idea è ottima, ma come sempre quando si tratta di monetizzare un servizio affidato a volontari le difficoltà sono enormi.
In ogni caso non è da sottovalutare la sensibilità dei pescatori che in casi analoghi hanno collaborato significativamente.
Il mio impegno è proporre all’Assessorato dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea un compenso per singola tartaruga recuperata anche sottoforma di contributo o agevolazione.

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daniela freggi 2 Agosto 2025 - 11:59

Grazie per l’interesse e la passione dimostrate verso questa problematica, ben più complessa di quanto possa sembrare in un primo momento. Molti studi sono focalizzati ad analizzare l’interazione della pesca e la conseguente mortalità verso specie a rischio di estinzione ed in particolare delle tartarughe marine. Come ormai dimostrato scientificamente da tempo, l’amo non è quasi mai causa diretta di morte, poichè la maggior parte delle volte si incista nelle pareti spesse dell’esofago, mentre la lenza risulta sempre davvero mortale, causando sempre l’affastellamento del tubo digerente e la conseguente mortalità ritardata, tanto difficile da studiare. Grazie alle tecniche chirurgiche messe a punto dal Prof. A. Di Bello del Dip. Med. Vet. dell’Università di Bari, oggi nei casi incui l’intestino sia ancora funzionante, si può intervenire. I pescatori che collaborano diventano così i migliori alleati alla riduzione della mortalità. Per quanto riguarda i palangari, spesso considerati la causa principale di morte delle tartarughe marine, personalmente ho un’ottica diversa nel valutare la situazione. Sappiamo dell’alto numero di catture accidentali con il longline, perchè molti di questi pescatori, impressionati dal danno che l’amo possa causare, collaborano e riportano a terra gli animali allamati, ma ancora troppo poche imbarcazioni a strascico collaborano alla salvaguardia delle tartarughe e spesso rilasciano in mare animali che credono in buone condizioni e che invece possono incorrere in una mortalità ritardata a causa di patologie come il gas embolismo, non detectabile senza strumenti diagnostici ospedalieri. In una visione basata solo su ciò che si vede tendiamo a non focalizzare il reale problema e molte risorse vengono sprecate verso battaglie che però non intervengono in maniera fattiva sulla riduzione della mortalità (ma poi i 50 euro da quali risorse verrebbero presi e quale effetto avrebbero se non di strumentalizzare quello che è uno sforzo collettivo di comprensione del problema ed indirizzare verso unaa sostenibilità della pesca…). Insomma, solo lavorando insieme, cittadini, pescatori, riabilitatori e ricercatori, possiamo sperare di avere un impatto sulla protezione e salvaguardia di una specie, complessa da studiare, con un ciclo vitale lunghissimo, diverso da quello umano, che si trova ad affrontare la nostra presenza invadente su questo pianeta e che richiede capacità e conoscenze specifiche.. ognuno può fare la sua parte nel proprio campo di competenza, collaborando fattivamente alla mitigazione dei danni procurati dalla pesca, risorsa alimentare ed economica ad oggi insostituibile per una popolazione umana probabilmente troppo numerosa sul questo pianeta…

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