CAPPERI: QUANTE PROPRIETA’ BENEFICHE!

Oltre il gusto un antidoto naturale contro l'invecchiamento.

by Sergio Argento
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La tutela e la valorizzazione delle risorse ambientali unite alla sicurezza alimentare sono temi al centro dello sviluppo sostenibile in agricoltura. Le piante officinali in Sicilia, sostenute dalle favorevoli condizioni pedoclimatiche, si integrano bene in tale contesto rispondendo positivamente a condizioni di coltivazione caratterizzate da modesto ricorso a input energetici

Tali caratteristiche, hanno permesso di valorizzare aree marginali precluse alle “specie ad alto reddito” contraddistinte da elevati livelli di tecnologie e impieghi di molecole di sintesi. Inoltre, i molteplici indirizzi cui si rivolgono le produzioni officinali attestano di una ampia e variegata richiesta del mercato a partire dalla distinzione tra “food” e “no-food”

Tra le specie diffuse in natura, il cappero (Capparis spinosa L.- foto 1 e 2) rappresenta per alcune isole minori siciliane (Salina e Pantelleria) una coltura che contribuisce a sostenere l’economia e la tradizione alimentare locale. La pianta è stata ampiamente utilizzata nella medicina tradizionale e recenti studi fitochimici hanno evidenziato la presenza di molti composti salutistici che ne sostengono le proprietà antimicrobiche, antiossidanti ed antinfiammatorie del prodotto.

L’uso di cappero (in realtà si tratta dei bottoni fiorali della pianta ( Foto di copertina) come condimento è diffuso fin dall’antichità.

Foto 1 - Pianta di cappero diffusa in natura
Foto 2 - Pianta selvatica di cappero a Salina

Diversi Autori greci e latini, come Ippocrate, Aristotele, Teofrasto, Plinio il Vecchio, hanno scritto delle proprietà alimentari e terapeutiche di questa pianta. Il Viani (1929) già all’inizio del secolo scorso descriveva una varietà di “cappero senza spine propagata sia per seme che con l’innesto a spacco sulle piante spontanee”. Le due maggiori specie presenti nel bacino del Mediterraneo sono C. spinosa L. con le varietà spinosa, inermis, parvi flora, aegyptia, e C. ovata Desf. con la varietà sicula.

Il cappero mediterraneo sembrerebbe appartenere più ad un complesso di taxa (raggruppamento di individui distinti per caratteristiche biologiche comuni) strettamente imparentati, piuttosto che a due specie nettamente separate. Studi molecolari recenti, infatti, hanno analizzato centinaia di individui di C. spinosa e varietà affini, mostrando una grande variabilità genetica e flussi genici tra popolazioni mediterranee. Questo rende difficile tracciare confini netti tra specie e varietà, molte entità considerate “specie” potrebbero essere in realtà sottospecie o meglio ecotipi locali. 

La pianta è un arbusto suffruticoso perenne a foglia caduca che presenta un fusto legnoso alto fino a 50-80 cm negli esemplari adulti. Dal fusto si dipartono numerose ramificazioni annuali a partire dalle gemme basali, lignificati solo alla base e generalmente lunghi fino a 3 m. Il colore delle foglie è verde intenso e spesso violetto. I fiori sono inseriti all’ascella delle foglie distali ed hanno un picciolo di 3-8 cm, mentre gli abbozzi fiorali hanno un diametro di 8-13 mm. L’apparato radicale è costituito da radici carnose profonde e molto sviluppate. Il cappero rinvenibile, generalmente, ad altitudini prossime al livello del mare, può spingersi anche a quote altimetriche fino ai 950 m s.l.m.

La tradizionale raccolta di capperi da piante selvatiche è molto diffusa in diversi paesi del Mediterraneo. Le parti eduli della pianta sono rappresentate appunto dai bottoni fiorali (detti capperi) e dal frutto, una bacca localmente chiamata “cucuncio” (Foto 3 e 4).

Foto 3 - Cucunci appena raccolti
Foto 4 - Sezione di un cucuncio di Pantelleria

La coltivazione specializzata in Italia è piuttosto recente, raggiungendo una rilevanza economica solo negli ultimi decenni. La produzione nazionale è attualmente in larga parte concentrata (circa 95%), come detto, nelle due isole vulcaniche minori in prossimità della Sicilia, rispettivamente a Pantelleria (Foto – 5) dove si stimano circa 50/60 tonnellate ottenute su una superficie di circa 600/650 ettari – Cappero di Pantelleria IGP – ed a Salina – Presidio Slow Food – con 20/25 tonnellate prodotte su una superficie di circa 250/300 ettari. 

Foto 5 - Impianto specializzato di cappero a Pantelleria

Al fine di qualificare la filiera produttiva del cappero in Sicilia, sono state condotte esperienze specifiche, avviate con la propagazione in vitro della specie per ottenere cloni omogenei da destinare alla coltivazione. Parallelamente, è stato approfondito il profilo salutistico del prodotto attraverso lo studio della capacità antiossidante, con particolare attenzione alla quantificazione dei composti glucosinolati e dei polifenoli totali (si tratta di sostanze naturali inclusi i flavonoidi che contribuiscono a migliorare il sistema immunitario e a contrastare l’invecchiamento).

Le attività sperimentali hanno previsto la raccolta di campioni provenienti da diversi territori siciliani, suddivisi in base alle principali porzioni organografiche della pianta: cime vegetative, bottoni fiorali (capperi) e giovani frutti (cucunci). L’analisi dei materiali genetici ha consentito una più precisa definizione della qualità e della tracciabilità del prodotto, mentre la valutazione del contenuto di composti antiossidanti è stata estesa anche ai due metodi di conservazione più diffusi quali la salatura (Foto – 6) e la conservazione sott’aceto. Ragioni logistiche hanno escluso la fermentazione lattica operata  dai batteri lattici, e nota come la più antica e naturale forma di conservazione del cappero.

Foto 6 - Capperi appena raccolti posti sotto sale

I risultati acquisiti hanno evidenziato differenze significative tra le diverse tipologie di organi analizzati. Le cime vegetative hanno mostrato un contenuto relativamente basso di glucocapparina e un livello intermedio tra i campioni analizzati di polifenoli totali. Nei bottoni fiorali, il contenuto di glucocapparina è risultato nettamente superiore. I giovani frutti hanno mostrato un profilo particolarmente interessante, con valori di glucocapparina prossimi ai bottoni fiorali ed il più alto livello di polifenoli totali, distinguendosi per la combinazione di un’elevata concentrazione di glucosinolati e di un ricco patrimonio polifenolico. 

L’analisi dei metodi di conservazione ha messo in evidenza come la salatura tenda a preservare meglio il contenuto di glucosinolati, mentre la conservazione sott’aceto, pur riducendo parzialmente la concentrazione di tali composti, consente di mantenere più stabile il profilo polifenolico. In entrambi i casi, le variazioni osservate risultano significative e confermano che la scelta del metodo di conservazione incide direttamente sulla qualità nutraceutica del prodotto.

Queste evidenze sperimentali consentono di acquisire informazioni utili non solo sulla variabilità del contenuto di composti bioattivi nei diversi organi della pianta, ma anche sull’influenza delle pratiche di conservazione. 

In prospettiva, tali risultati contribuiscono a migliorare la qualificazione delle filiere officinali, caratterizzate da itinerari produttivi complessi che coinvolgono numerosi attori, dalla fase di coltivazione fino alle successive fasi di trasformazione, confezionamento e distribuzione del prodotto.

In copertina: bottoni fiorali e fiore di cappero in piena fioritura sulla stessa ramificazione

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